Meditazione offerta da Paolo Curtaz alla Parrocchia di Maria SS.ma del Soccorso
Maglietta bianca, pantaloni sportivi, sciarpa azzurra appoggiata morbidamente attorno al collo, occhiali, sguardo curioso e sottilmente penetrante, un mezzo sorriso... si presenta così Paolo Curtaz, con un aspetto piuttosto comune per una persona decisamente fuori dal comune: una mente agile e vulcanica, attenta al dettaglio da cui tirare fuori un discorso che ne tira fuori un altro e poi un altro; un sagace maestro di eloquio che non usa parole forbite, ma termini accessibili a tutti, illustrandoli però con una gestualità coreografica che calamita l'attenzione a tal punto da farti dimenticare il foglio e la penna, portati per prendere appunti.
Comincia subito a contraddire se stesso e il titolo dato alla meditazione: Perché prendere la famiglia di Nazareth come modello? Come si fa? Il padre non è padre di suo figlio. La moglie è vergine. il figlio è addirittura Dio. Risulta impossibile paragonarla ad una famiglia "normale".
Apparentemente.
Perché, nell'eccezionalità dei suoi componenti, la famiglia di Nazareth vive tutta l'ordinarietà del quotidiano, del "nostro" quotidiano: il lavoro che c'è e non c'è, le discussioni, la routine, gli eventi che un bel giorno ti stravolgono quella routine.
Accenna quindi una garbata polemica sull'iconografia che separa i componenti della Santa Famiglia e sulla collocazione infelice della festa della Santa Famiglia tra Natale e Capodanno, che non le rende la dovuta importanza.
Quindi si produce in un discorso-fiume, parla ininterrottamente per più di un'ora, con quel modo quasi ipnotico di muovere le mani mentre parla, che quasi ti fa vedere quel Giuseppe evangelico così poco "raccontato"che invece non parla mai, il sognatore capace di ragionare, riflettere e decidere la cosa giusta, per attuare i propri progetti nel progetto di Dio; ti fa gustare una Maria che vive da protagonista senza apparire tale, che interviene per rimettere a posto le cose ("non hanno più vino"), che tutto osserva e a tutto partecipa, che raccoglie i pezzi e li rimette insieme ("serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore"); ti spiega quel Dio Gesù che, per nascere e crescere da uomo sceglie un posto sperduto, brutto e quasi malfamato come Nazareth, anziché Roma Caput mundi o Gerusalemme crocevia delle religioni, un Gesù del quale si fatica a pensarne trent'anni da falegname; nomina i vangeli apocrifi, che sono stati rifiutati già dai primi cristiani, perché questi non riconoscevano in essi fatti e persone che avevano sperimentato direttamente.
Curtaz rilegge la Bibbia in funzione delle coppie della Bibbia, ne estrae tutte le caratteristiche e le contraddizioni delle coppie di ogni tempo, le guarda alla luce degli studi di una valente endocrinologa americana, la quale conclude la sua ricerca sul cervello femminile e maschile affermando che il cervello femminile è una fabbrica che serve a produrre e far vivere le emozioni, mentre quello maschile è una fabbrica che serve a cercare soluzioni: la coppia che si forma, dunque, superato l'innamoramento e la sua presunta banalità, arriva ad amarsi per le specifiche peculiarità uno dell'altra.
So che altrove c'è chi magari è migliore di te, ma io voglio te. Questo è il progetto di vita in comune della coppia modello-Nazareth.
E alle coppie in crisi che gli chiedono aiuto, Curtaz lascia facoltà di urlare e rinfacciarsi mille cose, dopo di che dice loro "adesso potete sposarvi!". Sì, perché adesso vi conoscete veramente, adesso vi siete detti tutto, adesso siete onesti l'uno con l'altra. Adesso potete cominciare a stare insieme.
Ecco, quel filo di sottile ironia con cui condisce un discorso sapiente, abilmente costruito per non suscitare nel pubblico domande, che lui non gradisce, a causa di un litigio tra due ascoltatori avvenuto alla fine di una sua conferenza, quella sottile ironia che rende lieve un argomento difficile, che la nostra società sta sfaccettando sempre più, aggiungendo nel tempo modelli di famiglia allargata, monogenitoriale, omosessuale e avviata alla disgregazione.
Alla fine, dopo i ringraziamenti di rito, ci accoglie tutti, uno per uno, con garbo e cortesia di "montanaro", come si definisce, da bravo valdostano, evidentemente abituato a vivere lo spazio aperto e immenso delle montagne per apprezzare la semplicità delle piccole cose intorno, dalle quali sa trarre riflessioni inedite come un mago dal suo cappello a cilindro.
Un'esperienza straordinaria, una ricchezza nuova. Grazie!
Donatella Marincola